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evidentemente, un terrenopiù
favorevole alla gestazione e alla
prima crescitadell’impresa. Il
tema è stato compiutamente
analizzatonel documento “Restart
Italia” del 2012 (Ministerodello
sviluppoEconomico –TaskForce
sulle startup, 2012), che, anche
attraversounaopportuna chiave
comparativa, ha individuato le
principali azioni necessarieper
favorirequesti processi. Politiche
industriali per lanatalitàdi
imprese innovativenonpossono
che agire suunapluralitàdi
aspetti. Tuttavia, il temadei canali
edellemodalitàdi finanziamento
iniziale (seed capital) e successivo
(venture capital) dellenuove
impresepare indubbiamente
centrale. Vi èun evidente
fallimentodimercato, dato che
il sistemabancario efinanziario
non riesce ad attribuireunprezzo
coerente ad attività ad altissimo
rischio: aquesto fallimento
dimercato inmolti paesi si fa
fronte adun’azionepubblica che
incentivi in variomodo lanascita
di intermediari specializzati, in
gradodi garantire alle imprese
nascenti un adeguato capitale
di rischio (Lerner 2013); la
fortissimanatalità imprenditoriale
che caratterizza l’economia
americana è spiegata anche
dall’esistenzadi tali intermediari.
In Italia il venture capital “early
stage” rappresenta solo lo0,5
permilledel PIL: un terzodella
media europea, un tredicesimo
rispetto agliUSA (Accetturo et
al 2013). Al temadellanatalità
imprenditorialepuò essere
concettualmente affiancatoquello
dell’attrazionedi investimenti
dall’estero. La strutturaproduttiva
italianapuò rafforzarsi anche
attraverso l’azionedi imprese a
capitale estero che, comenoto,
sonomoltomenopresenti in
Italianon solo rispetto al Regno
Unitoo alla Spagna,ma anche
rispetto a Francia eGermania. La
letteratura internazionalehada
tempo illustrato i (molti) possibili
vantaggi degli investimenti diretti
dall’estero così come i (non
irrilevanti) problemi che essi
possono creare. Il puntodi fondo
è chenon tutti gli investimenti
esteri sonouguali. Nell’ambito
di politichepubblicheorientate,
come èopportuno che sia, aduna
complessiva libertàdi stabilimento
delle imprese straniere, un
particolare favorepuò essere
riservato ad alcunedi esse. In
linea generale, gli investimenti
chepossonomaggiormente
favorire lo sviluppodell’economia
italiana, creando significative
esternalità a frontedellequali
possono essereprevisti strumenti
di incentivazione, sonoquelli
chedeterminanounutilizzo
aggiuntivodi forza lavoro ad
altaqualifica; tramiteoperazioni
“greenfield” o acquisizioni con
successiva espansione. Vi èuna
qualche evidenza (Cersosimo e
Viesti 2013a) chemostra che la
presenzadi imprese a capitale
esteroproduceuna significativa
esternalitàpositivapiù attraverso
la valorizzazionedel capitale
umano ad altaqualifica che
tramite tradizionali effetti di
induzionedi subforniture,
resi oggimoltopiùdifficili
dall’organizzazionedelle
produzioni su catene globali.
Anche il secondopuntodi una
possibile agenda è sempliceda
delineare. Va sostenuto lo sforzo
innovativodi tutte le imprese.
Per quellediminoredimensioni
i processi innovativi si rafforzano
principalmentedall’esterno:
favorendo l’acquisizionedi
nuove tecnologie chepossano
consentiredi aumentare lo stock
di conoscenzedisponibile e
quindi essere incorporate innuovi
prodotti; ovvero l’interazione
con centri di ricerca euniversità;
ovvero la collaborazione con
altre impreseper raggiungere
soglieminimedi risorsedestinate
all’innovazione. Sarebbe
opportuno incentivarequesti
comportamenti diffusi attraverso
misure semplici e automatiche.
Complessivamente l’industria (e
ingenerale l’economia) italiana
hauna spesaprivataper ricerca
e sviluppo largamente inferiore
aquelladi tutti gli altri paesi
avanzati: lo0,7%del PIL, contro
l’1,9%dellaGermania e l’1,2%
dellamediaUE (Accetturo et al
2013).Questo è vero anche se
si estende ladefinizionedelle
attivitàdi ricerca incorporando
1...,33,34,35,36,37,38,39,40,41,42 44,45,46,47,48
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