(Accetturo et al 2013); il rilevante
pesodell’indebitamento a
breve; l’attitudine al controllo
indirettodelle imprese a valle
attraverso complesse catenedi
partecipazione; il rafforzamento
di intermediari capaci di facilitare
questi processi (anche attraverso
il ricorso adobbligazioni).
Vi sonomisure, inparte già
adottate, di caratterefiscale.
Vi sono interventi, certamente
non semplici, di caratterepiù
strutturale.
Il quarto edultimopuntodi
unapossibile agenda riguarda
l’indispensabile incrocio fra
politiche industriali epolitiche
di sviluppo territoriali (OECD
2011b). La scaladellepolitiche
industriali èplurima. Vi èuna
dimensione europea; vi èuna
dimensionenazionale, di cui
qui si èfinora trattato e che
rimanemolto importante; vi
èunadimensione territoriale.
Le imprese traggonomolti
importanti fattori di competitività
dal loro specifico territoriodi
insediamento: dai bacini locali
di forza lavoro; dallapresenza
di soggetti chedetengonoo
sviluppano competenze, come
università e centri di ricerca;
dall’interazione con altre
imprese. Non a caso, i fenomeni
più interessanti di sviluppo
di nuove industrie innovative
hannounaprecisadimensione
geografica, tanto inEuropa
quantonegli StatiUniti (Moretti
2012). Inparticolare le aree
urbane sono i luoghi nei quali, a
seguitodi processi di interazione
inparte causali, più facilmente
si verificano le condizioni per
l’emergeredi nuove imprese.
Politiche industriali devono
quindi essere ingrado tantodi
agire a scalanazionale, quanto
di differenziarsi edeclinarsi a
scala locale, regionale eurbana.
Il temadel coordinamento
verticaledel policy-making
frapiù livelli di governo è
complesso: include aspetti quali
le attribuzioni di specifiche
competenze, lemodalitàdel loro
finanziamento, l’azionedelle
politiche conuna chiara valenza
territoriale, comequelleurbane,
l’esistenzadi politichedi sviluppo
territorialemirate su specifici
ambiti geografici. Inquesto
quadro vanno inseritepolitiche
industriali “territorializzate”, volte
cioè adeclinare specificamente
su esigenze epotenzialità locali
obiettivi comuni, apotenziare
specifici fattori di vantaggio.
Inquesto ambito rientrano
misure assai differenziateper
impostazione e importanza, dalla
ricchissima esperienza tedesca
aquella francesedei poles de
competitivitè, al recentissimo
programma statunitensedei
manufacturinghubs e alle
interessanti esperienze cinesi
(Stiglitz, Lin eMonga 2013).
Il quadro italiano è
particolarmente confuso:
responsabilità e interventi si
sovrappongonopiù che integrarsi.
Inparticolare, per la “fuga” della
politica economica centraledalle
sue responsabilità, si èmolto
accentuato il ruolodelle regioni
inmisure erogatorie a favore
delle imprese (Cersosimo eViesti
2013 a e 2013b). Nondimeno,
l’esperienzadei distretti
tecnologici è interessante: anche
se i risultati raggiunti non sono
ancora facilmente verificabili
(Bertamino et al, 2013).
Lamateria va totalmente
ripensata, alla lucedelle
considerazioni generali, esposte
inprecedenza, sullepotenzialità
dellepolitiche industriali e sugli
errori da evitare.Meccanismi
continui di valutazionedei
risultati edi revisionedegli
strumenti edegli ambiti
territoriali di interventopaiono
ad esempio indispensabili. Il
tema è cruciale: le “esternalitàdi
coordinamento” possono trovare
soluzioneproprio a scala locale;
interventi sulle interazioni frapiù
soggetti, pubblici eprivati, sono
più semplici, epossonogenerare
accelerazioni nei processi
di apprendimento e crescita
delle imprese.
In queste due pagine:
Padiglione Italia, Graftings.
Foto di Cino Zucchi