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imposte. Trovo perciò
particolarmente suggestivo il
richiamo ai “cahier des
doléances”, che nella Francia
pre-rivoluzionaria denunciavano,
tra l’altro, l’inaccettabilità delle
corvées che caratterizzavano, e
paralizzavano, la società feudale.
Le nostre corvée si chiamano
fisco e burocrazia. E gli effetti
non sono molto diversi di quelli
che stroncarono l’Ancien Régime:
allo stesso modo delle corvées,
essi impediscono lo sviluppo;
deprimono gli spiriti vitali;
alimentano la corruzione; e, oggi,
demotivano gli investitori
stranieri. Occorre perciò
costruire, rapidamente, un
sistema basato su regole chiare, su
tempi ragionevoli e su procedure
sensate. Tutto il contrario
dell’andazzo italiano, dominato
da un affastellarsi di norme che
alimenta un coacervo legislativo e
regolamentare che appesantisce i
costi, mortifica la certezza del
diritto e, paradossalmente,
aumenta a dismisura il potere e
l’autoreferenzialità della
burocrazia. Con esiti anche
tragicamente paradossali: mi ha
colpito, per esempio, leggere di
recente che «durante il terremoto
in Emilia alcuni commentatori si
sono stupiti, anche
maliziosamente, del fatto che
capannoni costruiti 40 anni fa
abbiano retto, e quelli più recenti
siano crollati. In modo
paradossale possiamo dire che
quaranta anni di legislazione
edilizia, vincoli, norme e
burocrazie, abbiano peggiorato la
situazione e non migliorata».
Non illudiamoci che questo
sistema, frutto di un approccio
statalista e burocratizzato, si possa
risolvere con una bella serie di
legge e decreti illuminati. Che
spesso, come abbiamo
amaramente verificato,
sottraggono ulteriore sovranità ai
cittadini per conferirla ai
burocrati. Nella trasformazione
strisciante della burocrazia,
infatti, sta il punto centrale: come
è stato osservato da alcuni
studiosi, ormai la prassi
consolidata è che le leggi si
limitano a stabilire principi
generali, pur accettabili e corretti,
la cui applicazione viene
demandata ai regolamenti, di
competenza dei burocrati, che
hanno così la possibilità di falsare
e tradire la legge, pur emanata
con le migliori intenzioni. In
questo modo, da esecutrice della
volontà politica, la burocrazia si fa
artefice di fatto della legislazione:
è un’ulteriore involuzione del
sistema istituzionale delineato
dalla Costituzione, che lascia del
tutto indifferente la classe
politica. Non stupisce perciò che,
nonostante dichiarazioni solenni,
e addirittura l’istituzione di
appositi ministeri, la situazione
non sia migliorata. Pensiamo per
esempio all’enfasi con la quale,
qualche anno fa, si sottolineò (lo
feci tra i primi sul “Sole-24 Ore”)
la cosiddetta “questione
settentrionale”, ossia la domanda
da parte delle aree più produttive
del Paese di un sistema fiscale più
equo e di una burocrazia più
rispettosa, intelligente e misurata.
Purtroppo, ci troviamo ancora a
quel punto. Ma il valore della
giornata di oggi sta nella
responsabilità che organizzatori e
partecipanti dimostrano: il tempo
della denuncia, infatti, si è
esaurito, occorre passare
all’indicazione, anche da parte
della società civile, delle possibili
soluzioni. Meglio ancora se a
costo zero, come è stato fatto
oggi. E allora: se la diagnosi è
pacifica e se le terapie sono
definite, perché la malattia non
viene affrontata con decisione?
Qui sta il nodo del sistema
italiano: nella preponderanza del
peso delle lobby che impediscono
ogni cambiamento: cavilli e
interpretazioni tendono solo a
lasciare tutto com’è e, soprattutto,
a non intaccare il potere del
singolo ufficio, del singolo centro
d’interesse, del singolo sindacato.
Ma mentre noi affoghiamo nella
palude, altri sistemi cambiano,
per diventare più competitivi.
Considero un’ulteriore
manifestazione di serietà e
responsabilità additare, come si è
fatto oggi, le effettive
responsabilità della paralisi
attuale. Sono facilmente
comprensibili lo sdegno e la
disaffezione dei cittadini, vellicati
e indotti da facili campagne di
stampa a credere che la soluzione
dei problemi consista
esclusivamente nella riduzione
dei costi della politica: un
obiettivo che è certamente
giustificato dall’esigenza di
restituire credibilità all’impegno
pubblico, ma che è del tutto
ininfluente per ridare slancio
all’Italia. Il furore dei cittadini,
così, rischia di andare fuori
bersaglio, prendendo di mira solo
i politici, e trascurando i costi,
diretti e indiretti, e ormai non
certo occulti, della burocrazia:
sarà impopolare dirlo, ma occorre
essere consapevoli che la paralisi
dell’Italia dipende assai più dalle
scartoffie, dai timbri e dai divieti
che non dai cedolini dei
parlamentari. E’ un potere che
neppure le convulsioni della
politica degli ultimi venti anni,
foriere comunque di ricambi e
alternanze tra diverse
maggioranze politiche, sono
riuscite a scalfire. Concludo con
un ulteriore riferimento alla
situazione pre-rivoluzionaria alla
quale la vostra giornata
espressamente si è riferita: una
tappa fondamentale nella fase
iniziale della Rivoluzione
francese, quella liberale che
avrebbe contribuito a definire i
tratti della democrazia moderna,
fu costituita dal giuramento della
Pallacorda. Si trattò
dell’affermazione, decisiva di un
ceto che seppe reagire alle
pressioni della monarchia
assoluta definendo la propria
identità, trovando
determinazione, mostrando
capacità di definire una classe
dirigente. L’Italia di oggi attende
un nuovo giuramento da parte di
un ceto moderno capace di farsi
portavoce degli interessi generali
contro le prevaricazioni del
potere delle lobby.
A questa determinazione, e a
questa responsabilità affidiamo
le speranze del cambiamento
e dello sviluppo.
In questa doppia:
immagini dell’area
di via Adriano Publio Elio Carrubba
nuove costruzioni nei pressi del Portello, Milano
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