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e regionale funzioni di programmazione e di pianificazione di area
vasta, capace di interpretare i nuovi bisogni dell’economia e della
società e di rilanciare nuove e ampie progettualità. Ma la proposta
legislativa va in tutt’altra direzione: le città metropolitane assomigliano
in larghissima misura alle nuove province, già deboli istituzionalmente
e ulteriormente indebolite, “enti governati dai sindaci” che prestano
gratuitamente i loro servizi, senza risorse per le poche competenze
aggiuntive. Le funzioni assegnate sono infatti “le funzioni fondamentali
delle province” (pianificazione territoriale di puro coordinamento,
infrastrutture interne e servizi di mobilità, ambiente, rete scolastica).
Di nuovo e sostanziale troviamo:
- il piano strategico: uno strumento di coordinamento e di indirizzo,
che è possibile (e utilissimo) attivare anche in assenza di rivoluzioni
istituzionali, come ha dimostrato la recentissima esperienza realizzata
con qualche successo dalla Provincia e dal Comune di Bologna;
- la promozione dello sviluppo, ma lasciata totalmente senza risorse;
- la pianificazione territoriale generale, non meglio definita,
dimenticata all’art. 1 della legge laddove si elencano le finalità
istituzionali generali, che duplica e rischia di appiattirsi sulla
pianificazione di coordinamento provinciale. Di più: se si volesse
passare all’elezione diretta di una nuova dirigenza politica
metropolitana occorrerebbe lo smembramento del comune capoluogo,
una vecchia e sbagliata idea dei primi anni ’90. Indeboliamo la città
centrale per costruire una città metropolitana già debole? Non
sembra certo che il nuovo istituto nasca sufficientemente robusto
per affrontare i nuovi compiti. Ma vediamo più in dettaglio tre punti
chiave: funzioni di pianificazione, articolazione del comune capoluogo
e numero delle città metropolitane. La pianificazione territoriale di
area vasta, cui il dibattito disciplinare e politico più recente attribuisce
il compito fondamentale di ridurre l’insensato consumo di suolo degli
ultimi trent’anni, riorientando l’attività edilizia verso la rigenerazione
urbana, esce abbastanza malconcia dal dibattito politico attuale. Si
tratta infatti di una funzione tradizionalmente affidata alle (deboli)
province e che temo stia subendo lo stesso destino che si vuole per
le province stesse: un sostanziale ridimensionamento, in antitesi con
la rilevanza dei compiti potenziali. La attribuzione del compito della
pianificazione territoriale a istituzioni di secondo livello (“governate
dai sindaci”), come le nuove province e le città metropolitane, è certo
accettabile, ma a condizione che se ne definiscano i veri poteri,
il sistema di incentivi e in sintesi l’’adeguatezza’ delle nuove strutture,
come avviene in Francia per le communautés urbaines. Ricordiamo
che il livello comunale non è quello ‘adeguato’ per effettuare una
pianificazione territoriale efficace. Per questo ritengo che la legge deva
definire compiutamente e precisamente il significato della funzione
di pianificazione assegnata alle CM, al fine di evitare che essa si riduca
nei fatti a una pura funzione di conferma di decisioni comunali
sostanzialmente autonome o di semplice coordinamento. Non basta
indicare che tale funzione si possa realizzare “anche fissando vincoli e
obiettivi” all’azione dei comuni; occorrerebbe almeno indicare, come
è stato giustamente suggerito
(5)
, che la pianificazione metropolitana
coincida ad esempio con la ‘pianificazione di struttura’ introdotta
e definita da molte leggi regionali italiane (distinguendosi dalla
pianificazione ‘operativa’ attribuita alla competenza comunale).
I legislatori regionali dovrebbero essere sollecitati a recepire una tale
indicazione nelle loro leggi. Quanto alla condizione dello scorporo
del comune centrale in comuni perché si possa procedere all’elezione
diretta degli organi metropolitani – una condizione alleggerita
alla Camera per le CM con più di 3 milioni di abitanti, ma in modo
non chiaro e non facilmente giustificabile - essa potrebbe rispondere
all’esigenza di evitare conflitti fra il sindaco del comune centrale
e il sindaco metropolitano, una volta che entrambi siano eletti
direttamente, secondo la preoccupazione di molti. Ma ribatterei:
perché utilizzare uno strumento nato per tutt’altro obiettivo
– quello di evitare scontri fra il comune capoluogo e il suo hinterland –
e comunque sbagliato, come ho detto più sopra? Perché avere paura
di un conflitto aperto fra due istituzioni – che potrebbe facilmente
essere evitato esplicitando nella norma i principi fondamentali di
differenziazione e di adeguatezza delle funzioni attribuite ai due enti
– e non del conflitto interno alla figura del sindaco metropolitano,
che potrebbe anche in casi estremi configurarsi come conflitto di