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a molti fronti esperti di
tutti i settori si stanno
chiedendo da tempo:
come uscire da “questa”
interminabile crisi? Una crisi
sicuramente senza precedenti
dall’ultimo Dopoguerra e che
richiede quindi una sensibilità
particolare nel tentativo di
prospettare possibili soluzioni di
way out. Ci si chiede tra l’altro:
le strategie di sviluppo sostenibile
possono rappresentare un asse
portante delle prospettive di
ripresa? E possono rappresentare
il percorso anti-crisi del settore
delle costruzioni, tuttora in fase
di preoccupante recessione? Una
premessa è d’obbligo: se, fino a
qualche anno fa, la sostenibilità
economica, ambientale e sociale
poteva rappresentare il corno di
un dilemma che ancora metteva
al tavolo dei decisori strade
differenti di “dispersione
di risorse”, oggi è un must. La
dimensione di generale e diffusa
scarsità che la crisi ha portato con
sé impone un approccio più che
oculato alle risorse, tutto
all’insegna del risparmio. Di
sprechi, a essere seri, non si può
proprio più parlare per il
semplice fatto che è rimasto ben
poco da sprecare. Oltre alle
risorse economiche e finanziarie,
anche il capitale ambientale e
sociale va valorizzato al massimo,
proprio e anche per compensare
la scarsità di valore strettamente
economico. Detto ciò, sembra
paradossale che il settore delle
costruzioni si trovi ad attraversare
la sua crisi peggiore in una fase
storica e sociale che vede nello
sviluppo urbano e infrastrutturale
il punto chiave della sua dinamica
evolutiva. A questo proposito,
i numeri della crescita della
popolazione urbana nel mondo
sono noti. A fronte di un 2%
di popolazione mondiale
insediata nelle città a inizio
del diciannovesimo secolo,
nel ventunesimo secolo la
popolazione urbana è pari al 50%
e raggiungerà il 60% nel 2030.
Per la prima volta nella storia
dell’umanità la maggioranza
della popolazione mondiale vive
nelle città e questa proporzione
continuerà ad aumentare.
Nel 2050 sette persone su dieci
vivranno in città, rappresentando
il 70% di una popolazione che si
stima attorno ai 9 miliardi di
persone. E’ vero che il tasso più
alto di urbanizzazione si registra
nei Paesi emergenti. Ma è
altrettanto vero che i Paesi maturi
si trovano ad affrontare una
crescita urbana che sarà
determinata per circa due terzi
dall’immigrazione. L’Europa a 27,
secondo Eurostat, vedrà
aumentare i suoi cittadini dai 501
milioni registrati a inizio 2010 a
525 milioni nel 2035 e toccherà
probabilmente il picco di 526
milioni attorno al 2040, con
sensibili differenze tra gli Stati
Membri: nel 2060 sarà il Regno
Unito il Paese con la popolazione
più numerosa (79 milioni),
seguito dalla Francia (74 milioni),
dalla Germania (66 milioni),
dall’Italia (65 milioni) e dalla
Spagna (52 milioni). Questa
linea di tendenza genera nuovi
e pressanti bisogni. I Paesi
emergenti dovranno creare
condizioni di habitat favorevoli
per un numero crescente di
persone, bonificando
progressivamente il degrado degli
slums. I Paesi maturi dovranno
avviare una consistente
riqualificazione degli habitat
esistenti per una maggiore
efficienza ambientale, economica
e sociale capace di distribuire le
risorse scarse esistenti a una
popolazione in continuo
aumento. In ogni caso, sarà
indispensabile ridurre l’impronta
ecologica delle città che, oltre ad
occupare porzioni significative di
territorio, sono responsabili di
circa l’80% del consumo globale
di energia, di oltre il 70% delle
emissioni di gas serra e di oltre il
70% della produzione mondiale
di rifiuti. E non è certo da
trascurare, nella fase attuale
di cambiamento e instabilità
climatica, l’esigenza di
riabilitazione di aree urbane
colpite da calamità naturali,
in particolare da eventi sismici
e da fenomeni di dissesto idro-
geologico, e, allo stesso tempo,
di interventi di riqualificazione
e messa in sicurezza per
un’adeguata prevenzione
del rischio sismico. Insomma
la transizione, con buona
probabilità irreversibile, verso un
mondo prevalentemente urbano
apre straordinarie prospettive di
sviluppo che dovranno ruotare
attorno ai tre pilastri della
sostenibilità: economico,
dovendo rendere disponibili
alloggi economicamente
accessibili ai nuovi cittadini,
anche dal punto di vista dei
consumi energetici; ambientale,
dovendo garantire un uso più
efficiente delle risorse e dei
territori a favore di un numero
crescente di persone; sociale,
dovendo rispondere ai bisogni di
una popolazione multi-culturale
e più longeva. Ed è più che
evidente che, in questo scenario,
il settore delle costruzioni avrà un
ruolo centrale e determinante.
Attenzione però: in una
prospettiva del tutto nuova,
essendo cambiata radicalmente
la direzione del ciclo edilizio,
che si sposta dall’espansione alla
rigenerazione dei tessuti urbani e
alla riqualificazione del costruito
per un migliore utilizzo delle
risorse e dell’energia. In Europa,
come è noto, il tema
dell’efficientamento energetico
è una priorità, dato che le nuove
normative sull’efficienza
energetica in edilizia impongono,
da qui al 2019, per tutti gli edifici
pubblici di nuova costruzione un
regime “a quasi zero energia”. Dal
2020 lo stesso target dovrà essere
raggiunto anche dagli edifici
privati e, nel frattempo, dovrà
essere avviato un processo di
trasformazione per il patrimonio
edilizio esistente. Ma allora che
cosa ci sta ostacolando dal cercare
di cogliere al volo le opportunità
del nuovo e inarrestabile sviluppo
urbano? Due ordini di riflessioni
vanno fatte, riguardo alle imprese
del settore e riguardo alla
governance delle città. Sul fronte
impresa, l’impegno richiesto
dalle nuove dinamiche di
sviluppo urbano in termini
di cambiamento culturale
è grandissimo. Oggi è
indispensabile una professionalità
elevata e una capacità di visione
progettuale lungo tutta la filiera.
Perché, da un lato, gli operatori
della filiera devono mettersi
al passo con le nuove frontiere
dell’innovazione tecnologica
nel costruire: digital fabrication,
computational design, la ricerca
su materiali avanzati sono oggi
una realtà tangibile nelle migliori
pratiche del settore. Dall’altro
lato, dovranno riuscire a mettere
in campo una visione e una
capacità progettuale “olistica”,
idonea cioè a declinare la
sostenibilità nel costruire in tutte
le fasi del ciclo edilizio.
Non è questa la realtà del tessuto
imprenditoriale nel nostro Paese,
in cui proprio la mancanza
di know how tecnologico
e progettuale rende difficile
il percorso di cambiamento
e innovazione anche ai players
maggiori di alcuni segmenti
della filiera. Penso in particolare
all’impegno in ricerca e
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