012_013
Q
..
uando la crisi finanziaria
irrompe sulla scena
globale, nel 2008, trova
in Italia un settore
immobiliare apparentemente
in buone condizioni di salute:
nel corso del precedente
decennio è cresciuto nei numeri
(fatturato aggregato, numero di
operatori, indotto economico),
così come in termini d’incidenza
sull’economia complessiva.
Anche se alcuni tra gli attori più
avveduti del sistema segnalano il
persistere di pericolosi squilibri,
soprattutto nel rapporto tra
pubblico e privato, il clima che
si respira tra gli operatori è di
fiducia. Uno sguardo più attento
rivela, in realtà, l’esistenza di
numerosi problemi irrisolti, in
parte legati alle caratteristiche
del settore e dei suoi operatori,
in parte connessi alla situazione
strutturale del sistema-paese e
alle tante (troppe) riforme mai
attuate. Mentre l’approfondirsi
della crisi genera uno stato di
emergenza del tutto inedito
– a partire da una stretta creditizia
senza precedenti, che frena
ogni nuova iniziativa, associata
alla crisi dei debiti sovrani che
priva gli Stati delle risorse per
attuare politiche economiche
a sostegno dei comparti
maggiormente in difficoltà –
la cifra di ogni riflessione sul
settore è l’allarme. L’edilizia si
rivela chiaramente come uno
dei settori più segnati da questa
“strana” crisi, regalataci dalla
creatività della turbo - finanza
globale nella disattenzione
generale di legislatori e regolatori
internazionali. Anche se è difficile
parlare di “quei” problemi oggi,
quando gli effetti della crisi
sono ancora forti, è forse venuto
il tempo di aprire un nuovo
capitolo di riflessioni, come
settore, prendendo le mosse dai
temi rimasti troppo a lungo sul
tappeto, che avrebbero meritato
nell’arco degli ultimi venti anni
maggiore attenzione da parte di
tutti. Senza pretesa di esaustività,
provo a elencarne alcuni, che
rappresentano, al tempo stesso,
testimonianza di un settore con
significative criticità non rimosse
e agenda programmatica per
il suo rilancio. Sul versante del
sistema economico e istituzionale:
l’eccesso di burocrazia e
l’assenza di un quadro normativo
sufficientemente chiaro e stabile,
a causa di un sistema di regole
complesso, articolato ed opaco,
spesso inutilmente differenziato
su base locale;
la progressiva diminuzione delle
risorse pubbliche destinate agli
investimenti, in un quadro di
incremento della spesa corrente;
l’assenza di chiari
(e lungimiranti) indirizzi di
politica industriale di settore,
che ha generato nel tempo un
sistema di micro-imprese poco
specializzate, di dimensioni
insufficienti per competere in
modo efficiente sul mercato;
una concorrenza, soprattutto
nel settore pubblico, basata
essenzialmente sul prezzo,
con eccessiva pressione
sulla riduzione dei costi;
in parallelo, in ambito
residenziale, l’eccessiva
remunerazione di alcuni fattori
della produzione (i terreni,
in numerosi contesti)
a scapito di altri;
la difficoltà dei sistemi territoriali
locali nell’attuare vere politiche
di competitività, laddove
l’attrattività di un territorio è un
fattore centrale per lo sviluppo
del settore delle costruzioni;
la fragilità del sistema bancario,
critica per un settore ad elevato
assorbimento di capitale come
quello delle costruzioni.
Sul versante imprenditoriale:
un significativo processo di
esternalizzazione, con l’adozione
generalizzata di modelli di
fornitura terziarizzati che hanno
impoverito il patrimonio di
competenze detenuto dalle
imprese di medie dimensioni.
Questo sistema ha condotto a un
utilizzo estremamente flessibile
e conveniente di alcuni fattori
produttivi (su tutti, il lavoro),
ma ha generato la crescita di
entità autonome (fornitori,
contoterzisti,…) particolarmente
competitive nel presidio di alcuni
fasi del processo produttivo
(fasi, in alcuni casi, caratterizzate
da elevato valore aggiunto, come
la progettazione, la promozione
e la vendita);
la scarsa propensione
all’internazionalizzazione
da parte delle imprese del settore,
quando, nel prossimo futuro,
le migliori opportunità di crescita
saranno all’estero;
l’insufficiente diffusione
di know how progettuale,
anche a causa delle ridotte
dimensioni medie aziendali;
il livello relativamente contenuto
di competenze manageriali
diffuse, spesso a causa
di un’eccessiva sovrapposizione
tra proprietà e gestione
delle imprese;
la relativa difficoltà per le imprese
tradizionali a fronteggiare
l’emergere di nuovi competitor
dal mondo dei materiali
e delle forniture, a causa di
un’inadeguata preparazione nel
gestire gli sviluppi tecnologici.
Misura sintetica del sommarsi
di questi fattori di criticità è il
complessivo calo di produttività
fatto registrare dal settore, con
una crescita dell’occupazione
(+2,5% medio annuo nel
decennio 1999-2009) largamente
superiore a quella del valore
aggiunto generato a prezzi
costanti (+1% medio annuo
nello stesso periodo).
In positivo, resta la
considerazione che il mercato
italiano non è ancora saturo,
nonostante l’elevata percentuale
di famiglie proprietarie;
tuttavia, l’accesso al credito
resta difficoltoso e la domanda
abitativa da parte di famiglie che
non sono nelle condizioni di
accedere a un mutuo è in crescita.
Guardando avanti, ciò che
appare ragionevole supporre è
il passaggio da un modello di
business “ciclico” ad uno “piatto”,
in cui conteranno sempre più
il presidio del segmento, la
qualità del prodotto, l’efficienza
produttiva, la gestione del cliente.
Non una realtà nella quale
– come in un passato che non
esiste più – la fase espansiva del
ciclo economico creerà benefici
per tutti gli attori, a pioggia,
ma un mondo in cui la partita si
giocherà sempre più in termini
di innovazione e differenziazione
dell’offerta, dove solo alcuni
– i migliori – potranno generare
valore e prosperare. E in cui la
capacità di intercettare i nuovi
bisogni del cliente costituirà una
competenza fondamentale.
Ciò non significa che anche il
quadro di contesto non richieda
azioni incisive, per ridefinire
la qualità dell’ecosistema
economico. Se si dovessero
indicare delle linee guida sul
versante dell’agenda di politica
industriale, sarebbero – in
estrema sintesi – le seguenti:
la definizione di standard
minimi qualitativi, dal punto di
vista sia del prodotto, sia della
qualificazione degli operatori,
così come di incentivi
e regole per rispettarli;
l’attuazione di una politica di
“selezione” guidata, al fine di
salvaguardare e rafforzare le
imprese caratterizzate da maggior
In questa foto:
operai ferraioli alle prese con un’armartura